Settevulcani, la Falanghina di Salvatore Martusciello

Campi Flegrei Falanghina Settevulcani, Salvatore Martusciello

Settevulcani, non poteva che chiamarsi così la Falanghina di Salvatore Martusciello.

C’è una frase che forse più di tutte spiega bene il progetto di vino di Salvatore Martusciello, quarta generazione di una famiglia il cui nome è fortemente legato ai Campi Flegrei. E non è probabilmente quel “vini di persistenza” che pure si legge sul sito internet, sintesi oltretutto efficace e assai significativa del perché non sia mai facile restare per ricominciare da (sotto)zero, come nel 2014 ha fatto appunto Salvatore insieme con sua moglie Gilda Guida.

C’era e c’è un punto fermo: continuare lungo la strada tracciata dallo zio Gennaro Martusciello, scomparso nel 2012, lui che tanto aveva creduto in questo territorio, lavorando duramente per la sua valorizzazione.

«Il mio è un progetto di archeoviticoltura» – dice Salvatore –, e non è difficile capire il perché. Le vigne, tutte seguite in prima persona, sono estremamente parcellizzate: quella di falanghina, in particolare, misura all’incirca 2 ettari e si trova sulla collina di Cuma, all’interno del Parco Archeologico dei Campi Flegrei, da dove si guarda Ischia. È un territorio vulcanico, questo, e il nome Settevulcani (c’è anche la versione in rosso da uve piedirosso) è fortemente evocativo: le viti sono a piede franco.

Campi Flegrei Falanghina “Settevulcani” 2019

Una Falanghina essenziale, lavorata solo in acciaio, che beneficia ora del tempo trascorso in bottiglia e si propone senza mediazioni per quello che è: un bianco sapido e minerale, netto e dritto, che fa della incisività un tratto distintivo e assolutamente significativo, specie se poi si tratta di stare a tavola.

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Salvatore Martusciello
Via Spinelli, 4
80010 Quarto (NA)
C +39 348 3809880
M info@salvatoremartusciello.it

Kissòs, la Falanghina del Sannio di Cantine Tora

Falanghina del Sannio Kissòs, Cantine Tora

Kissòs è un’idea ambiziosa di Falanghina del Sannio, la firma è di Cantine Tora.

Il 2020 è stato davvero un anno complicatissimo per tutti, ma i fratelli Francesco e Giampiero Rillo non hanno mollato di un centimetro: il restyling del logo, la linea “autoctoni” (che oggi può contare anche su un bianco da uve coda di volpe davvero centrato), infine l’e-commerce. Non c’è che dire: bravi, bravi!

La falanghina resta, ovviamente, protagonista a Cantine Tora. E prova ne è il fatto che sono molteplici le interpretazioni proposte, tra cui ricordo il passito 2014 (che a pensarci bene non ho più incrociato, sapete?). La Falanghina del Sannio Kissòs è un po’ il simbolo dell’affezione dei due fratelli nei confronti della varietà regina del Sannio. L’edera – Kissòs in greco – era uno dei simboli di Dioniso, di qui l’idea del nome per una sfida che va avanti dal 2007, una selezione che viene di fatto prodotta soltanto nelle annate favorevoli.

Cambiano i vigneti di falanghina, che sono quelli più prossimi alla cantina di contrada Tora, alle porte di Torrecuso, risalenti alla fine degli anni Novanta e allevati a guyot. Cambia qualcosa anche in vinificazione, con una criomacerazione di 12/18 ore e fermentazione a bassa temperatura, poi un periodo di affinamento sui lieviti prima della lunga permanenza in vetro (2 anni). Cambia, soprattutto, l’epoca di raccolta delle uve: «il 4 ottobre, giorno del mio onomastico, mi hanno sempre fatto alzare cassette», scherza Francesco, vale a dire che la raccolta delle uve è generalmente posticipata di 7/10 giorni rispetto a quella dei grappoli per gli altri vini di falanghina.

La verticale

L’estemporanea verticale organizzata durante la mia ultima visita in azienda è stata una fantastica occasione per viaggiare all’indietro nel tempo e capire da dove hanno iniziato e dove stanno andando adesso Francesco e Giampiero. C’è un fattore determinante nell’evoluzione di un vino come il Kissòs, di cui peraltro si parla sempre troppo poco, e quello è il tappo. Basta guardare il colore dei calici per rilevare come il sughero abbia inciso eccome – in negativo, purtroppo – nelle prime due bottiglie: Kissòs 2008 (ve ne avevo già parlato qualche tempo fa) e 2011 presentano infatti simili profili ossidativi, forse pure maggiori in quest’ultima bottiglia.

Tappo sintetico, invece, per le annate più recenti, entrambe con una marcia in più. E se la 2015 è già un bel bere ora, con un sorso pieno comunque ben supportato da viva freschezza e sapidità, la 2016 – che ha un incipit quasi orientaleggiante – pare addirittura avere maggiori prospettive di evoluzione, grazie a sale e acidità davvero notevoli. Un vino che terrò d’occhio con molta curiosità nei prossimi anni.

Cantine Tora
Località Tora II, 18
82030 Torrecuso (BN)
T +39 0824 872406
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Mustilli, nel segno della Falanghina del Sannio

Falanghina del Sannio, Mustilli

Della Falanghina del Sannio di Mustilli se n’è parlato più e più volte, anche su questo blog, e non poteva essere altrimenti.

Dopotutto se oggi ci compiaciamo nel leggere in etichetta Falanghina e Falanghina del Sannio è in buona parte (anche) merito del compianto Leonardo Mustilli, l’ingegnere della falanghina. A lui si deve infatti la prima Falanghina in purezza – era il 1979 –, dopo che solo pochi anni prima il Comitato Provinciale vitivinicolo, istituito su impulso della locale Camera di Commercio, aveva iniziato un lavoro di verifica delle attitudini alla produzione di alcuni vitigni storici sanniti, tra cui appunto la falanghina, a quel tempo praticamente in disuso.

Capirete che c’era bisogno di una “bottiglia del cuore” per festeggiare le prime 2 candeline di Falanghina Republic! Alla fine ho tirato il collo alla Falanghina del Sannio 2014 dell’azienda di Sant’Agata dei Goti, oggi guidata dalle sorelle Anna Chiara e Paola Mustilli. E di buoni motivi ne avevo un bel po’.

Cercavo, innanzitutto, una bottiglia con qualche vendemmia sulle spalle: lo sapete che amo stappare e ristappare nel tempo i bianchi da uve falanghina, compreso quelli per così dire “base”. Nel caso specifico, la curiosità era tanto maggiore per via dell’etichetta: non vorrei sbagliare, ma quella che tratteggia il profilo della bella Sant’Agata dei Goti a tinte violacee, lo splendido borgo abbarbicato su un costone tufaceo, è stata l’ultima prima del restyling che ha portato all’attuale proposta grafica (fresca, colorata, riconoscibile).

C’era poi che dovevo assolutamente rimediare a una grave mancanza: l’aver lasciato appeso nelle bozze quel post con le sensazioni dei 3 memorabili assaggi* fatti la scorsa estate, durante una cena deliziosa all’Agape Ristorante, proprio con Anna Chiara e Paola.

La verticale

1980, 1996 e 2002 fanno esattamente ventidue anni di storia liquida in 3 bottiglie: una roba pazzesca. Anticiperei ogni possibile domanda, dicendo subito che la 1996 è stata la mia preferita. Ma questa, si sa, è una forzatura bella e buona: ché io, nel dubbio, avrei tranquillamente portato tutto a casa! 😀

Dico 1996 perché era un vino snello, leggiadro, incredibilmente fruttato (limone à gogo), verticale, senza il minimo segno di cedimento. Davvero splendido, oh! Oltretutto, e questa è un altro fatto straordinario, con un tenore alcolico impensabile: appena 11 gradi e mezzo.

Il 2002, per certi versi, stava agli antipodi: decisamente più largo, ricco, sfaccettato, sempre agrumato, come il ’96. Anche qui, ed è ancora una gran notizia, un bianco in perfetta forma!

Infine il 1980, seconda annata mai prodotta. Un’emozione che mi ha ripagato in un sol colpo per l’assenza a quella verticale con tutte le vecchie annate di casa Mustilli. Ebbene, è stata pure la bottiglia con l’andamento più imprevedibile in assoluto. E se al naso non mancavano profili ossidativi, insieme a note fungine e terrose di grande evoluzione, il sorso era sorprendente, cangiante, ben più giovanile, se vogliamo, per via di quella luminosa traccia agrumata che ha fatto capolino un po’ in tutti gli assaggi.

Falanghina del Sannio 2014

Fermi tutti, va a finire che non vi racconto la 2014 e chissà quando ve ne parlo poi. Diamo merito pure a questa boccia, che era in formissima e ben sintonizzata sulle frequenze del giallo, tra vista/olfatto/gusto. Non ne ho più in cantina, ed è un peccato, che qualche altro annetto potrebbe farselo a occhi chiusi.

* in realtà assaggiammo anche due strabilianti Greco targati 1977 e 1998.