Ciesco della Mirella, storia di un’inaspettata riapparizione

Ritrovo questa Falanghina del SannioCiesco della Mirella è il suo nome – diversi anni dopo una folgorante apparizione. Tutto merito di Pasquale Carlo, che in occasione di un pranzo beneventano aveva tirato fuori dal cilindro un Ciesco della Mirella targato 2005 in forma smagliante.

Ora non so dirvi come sia potuto accadere, tanto più che quel bianco piacque molto, sia a Luciano Pignataro che a me. Fatto è che questa boccia, firmata da Santimartini, una piccola azienda di Solopaca, è praticamente uscita dai miei radar per riapparire, in maniera del tutto inaspettata, soltanto un paio di settimane fa a casa di amici (e non l’avevo nemmeno portata io, eh!).

Falanghina del Sannio Dop "Ciesco della Mirella" 2017, Santimartini

Il piacere del nuovo incontro non ha condizionato quello effettivamente imputabile alla bevuta del presente: un bianco dai toni gialli (e mica solo all’occhio), che fa 14 gradi alcolici, ma con una buona freschezza di fondo e direi anche lo stesso elegante portamento di quella volta.

Mi mancano i cioccolatini ripieni con lo stesso vino che leggo essere commercializzati già dal 2010. Vabbè, intanto li provo, poi vi dico! 😉

Aorivola 2017, la falanghina de I Cacciagalli

Contrariamente a quanto pensavo, Aorivola non è un nome di fantasia, bensì quello della località da dove provengono le uve di falanghina utilizzate per questo vino. Il comune è Caianello, cittadina di frontiera ad altissima densità di caseifici: da qui la mozzarella di bufala campana prende le più svariate direzioni lungo l’A1.

I Cacciagalli, l’azienda di Mario Basco e Diana Iannaccone, è una delle realtà vinicole più interessanti dell’alto casertano. Capirete, quindi, che non è affatto un caso il riconoscimento di vino Slow per l’Aorivola 2017 nell’ultima edizione di Slow Wine.

Roccamonfina IGT Falanghina Aorivola 2017, I Cacciagalli

Se le sensazioni sapido-minerali che accompagnano la beva sembrano essere un riflesso della composizione dei terreni (Roccamonfina è un vulcano spento), il sorso appena più spesso e voluminoso, senza comunque che ne risultino compromesse dinamica e diretta riconducibilità al vitigno falanghina, pare invece più figlio della tecnica di vinificazione (solo acciaio, ma con macerazione di 12 ore).

Quando ho visto che ne era rimasto un fondo di bottiglia, al termine della degustazione di Slow Wine a Napoli, ho pensato di portarlo via e di assaporarlo ancora l’indomani. Il contatto con l’aria ha apportato un plus in termini di ricchezza e slancio. Tutt’altra musica rispetto al decadimento rapido di certe bottiglie, che si afflosciano appena poche ore dopo l’apertura.

Azienda agricola i Cacciagalli di Diana Iannaccone
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