2001, che Falanghina a Fontanavecchia!

Senza fare troppi giri di parole, la Falanghina 2001 di Fontanavecchia è una bottiglia a cui sono molto affezionato, per tutta una serie di motivi.

Primo. Era una bottiglia “mito” già quando, una dozzina di anni fa, muovevo i miei primi passi da winelover. Capirete, dunque, se mi emoziono ancora quando mi capita di stapparne una.

Secondo. La 2001 di Fontanavecchia è la bottiglia che ha mandato in frantumi le (false) certezze e i pregiudizi di chi considerava la Falanghina solo un bianco a buon mercato, da consumare ghiacciato e sempre d’annata. Non che un vino debba per forza di cose invecchiare per vedersi riconosciuta dignità di eccellenza, ma – se permettete – la Falanghina può farlo eccome (e non mancano altri esempi in Campania).

Aggiungete, poi, che ho avuto la fortuna di osservarne la parabola evolutiva, specie negli ultimi 6/7 anni, coincisi con gli anni di una maggiore consapevolezza (almeno, voglio illudermi che io l’abbia raggiunta).

La Falanghina 2001: com’era?

Venti e passa vendemmie dopo, la 2001 di Fontanavecchia non può esimersi dal fare i conti con gli anni che passano. Qualche boccia storta o particolarmente “avanti” è capitata (quella nella foto di copertina, per esempio), ma altre ancora si sono concesse in tutto il loro splendore, nonostante qualche ruga in volto.

La bottiglia assaggiata qualche pomeriggio fa – al termine di un’interessante carrellata a tutta Falanghina, in compagnia di Giuseppe Rillo, di cui vi parlerò poi – andrebbe collocata, a ragion veduta, tra le più in palla mai provate, già a partire da un colore dorato bellissimo e tutt’altro che spento. C’è un filo di ossidazione – e ci mancherebbe –, ma il quadro olfattivo è pregevole, con note balsamiche e tostate di frutta disidratata, caffè, cera, rabarbaro. È la bocca, però, che sorprende più di ogni cosa, vanificando ogni timida velleità di datazione anagrafica: sorso placido, ancora supportato dalla freschezza, sinuoso ma al tempo stesso scorrevole, di lungo ricordo.

Cavoli se è invecchiata bene!

Falanghina del Sannio Vignasuprema 2018, Aia dei Colombi

Falanghina del Sannio Vignasuprema 2020, Aia dei Colombi

Vignasuprema, il cru di Falanghina del Sannio – sottozona Guardia Sanframondi – dei fratelli Gaetano e Marcello Pascale, ad Aia dei Colombi, si conferma un bianco di grande spessore e capace di regalare sorprese nel tempo.

Vignasuprema è un nome di fantasia. Descrive bene, però, un fatto: il vigneto da cui arrivano i grappoli di falanghina, in località Colle dell’Aia*, è l’ultimo ad essere abbandonato dai raggi del sole. Lo si può verificare agevolmente guardando il tramonto dal terrazzo antistante la cantina, che sorge lì dove un tempo era l’aia dei colombi di fianco alla casa famigliare.

Il millesimo 2018 stappato proprio qualche sera fa vale come ulteriore conferma: Vignasuprema è una Falanghina del Sannio d’autore. A dispetto di una certa struttura e di un volume alcolico che si attesta sui 14 gradi e mezzo, questo bianco non paga alcun dazio in fatto di bevibilità, supportata com’è da acidità e – soprattutto – sapidità. Frutta a polpa bianca, salvia, mentuccia, un naso ricco da raccolta ritardata delle uve, che appunto avviene nella prima decade di ottobre. Solo acciaio, con 10 mesi di affinamento sulle fecce fini.

Piccolo prezzo (tra i 10 e i 12 euro), grande soddisfazione.

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* e pure quelli di aglianico per la riserva omonima.

Falanghina dei Campi Flegrei 2019, La Sibilla

Falanghina Campi Flegrei, La Sibilla

La Falanghina de La Sibilla: piccolo prezzo, grande soddisfazione.

C’è la falanghina (ma anche il piedirosso) nel cuore della famiglia Di Meo. La Sibilla, l’azienda fondata da Luigi Di Meo e dalla moglie Restituta Somma, che vede oggi impegnati i tre figli Vincenzo, Mattia e Salvatore, produce due interessanti e paradigmatiche interpretazioni di falanghina.

Il bello è che proprio non saprei quale scegliere tra le due: e se la selezione Cruna DeLago (un azzeccato gioco di parole che ben racconta questa “striscia di terra protesa verso il mare“) ha probabilmente maggiore profondità e regala note piriche di particolare fascino, la “base” certo non manca di slancio, anche nel millesimo 2019.

Insomma, è noto che i Campi Flegrei siano una zona di elezione per la falanghina, che dà vita a vini di grandi potenzialità evolutive (mi viene in mente la Falanghina dei Campi Flegrei 2014 di Contrada Salandra, per esempio). Lo dimostra una volta di più questa etichetta de La Sibilla, che si aggira sui 10 euro a scaffale: fresca, agrumata, saporita di erbette, sapida e dissetante.

La Sibilla
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