Falanghina, prime impressioni dalla vendemmia 2022

La vendemmia 2022 per la falanghina è ormai in archivio un po’ dovunque in Campania: ecco le prime sensazioni a caldo.

«Nemmeno la pioggia ferma la falanghina», si scherzava – ma nemmeno tanto – con Libero Rillo (Fontanavecchia) nei giorni in cui ci si affrettava a raccogliere gli ultimi grappoli di falanghina nel Sannio. Nonostante una vendemmia spezzettata, con una pausa forzata a causa delle piogge degli ultimi dieci giorni di settembre, la falanghina ha dimostrato una volta di più tutta la sua tempra e a inizio ottobre le uve dorate dal sole erano ancora splendide. Che vitigno, un caterpillar!

Falanghina, la vendemmia 2022 in Campania

Qui Campi Flegrei, Vincenzo Di Meo (La Sibilla) – a cui devo la bellissima foto di copertina – si dice soddisfatto: «abbiamo saputo leggere bene la situazione e giocare di anticipo, iniziando la raccolta il 22 agosto. Venivamo da un’estate molto siccitosa e le piante si erano chiuse a riccio nel tentativo di preservare lo stato idrico. Poi ci sono state le piogge di fine agosto e nel momento in cui le viti hanno iniziato ad aprirsi e a incamerare acqua, la maturazione è schizzata. Paradossalmente l’acqua è stata un altro stress per loro perché dopo questa accelerazione si sono inchiodate e i parametri non avevano più variazione rilevanti».

Qui Sannio, parla Dionisio Meola de I Pentri: «a fine settembre abbiamo vendemmiato soltanto le uve destinate alla nostra etichetta di entrata, la Falanghina Monte Cigno. Le piogge sul finire del mese ci hanno aiutato a fare vini con meno alcol, avendo dei frutti maturi con ottime acidità, che è la cosa che ci interessa di più».

Più o meno dello stesso avviso Giovanni Iannucci (Azienda Agricola Giovanni Iannucci): «le piogge torrenziali di fine settembre hanno complicato le cose, ma per ora io ho buone sensazioni. Direi che ci siamo salvati in calcio d’angolo».

Marenza Pengue (Fosso degli Angeli) ha evidenziato come le condizioni pedoclimatiche in agro di Casalduni abbiano concesso un vantaggio non da poco rispetto ad altri territori: «qui da noi il suolo è argilloso e la siccità è stata relativa. Addirittura abbiamo riscontrato acidità più alte e gradazioni zuccherine più basse, fatto che potrebbe evidentemente essere dipeso dalle piogge di fine settembre. Da un punto di vista sanitario, uve ottime; bene anche le quantità. Chi non ha interrotto i trattamenti troppo presto (già a inizio luglio), ha raccolto bene».

In Irpinia, a parlare è il giovane Francesco De Pierro (Passo delle Tortore): «è innegabile che la condizione di siccità prolungata abbia inciso, e non poco. A settembre, prima la grandine e poi 10/12 giorni di piogge continue hanno complicato ulteriormente il quadro, ma la falanghina, come il greco, è varietà che, più di altre, riesce a resistere a queste avversità, assicurando pure una certa costanza produttiva. Forse ha pagato solo un ritardo di maturazione, ma tendenzialmente sarà un millesimo in cui avremo vini con maggiori diluzione e acidità, la “classica” annata che sono convinto si rivelerà più tardi».

L’enologa Anna della Porta (Le Cantine di Hesperia): «ho potuto constatare qua e là arresti nella maturazione, ma il bello della falanghina sta proprio nella capacità di sopportare stress termici, mantenendo ph bassi e alti livelli di acidità. Sicuramente non è stata un’annata equilibrata, se ci riferiamo a piogge e temperature particolarmente elevate; tutti immaginano che con il colore ci sia necessariamente maturazione, ma non sempre è così. Per salvaguardare la vitalità dei suoli, sarà sempre più importante effettuare poche lavorazioni profonde, evitare lo sminuzzamento dei suoli e aiutarli con i sovesci, cercando di temerli coperti con le colture, usare microrganismi effettivi e fitostimolatori, antagonisti per peronospora e altre virosi».

Staremo a vedere.

Flora 2020, che Falanghina quella de I Pentri!

Falanghina Flora, I Pentri

Se c’è una Falanghina a cui sono particolarmente affezionato, quella è certamente Flora de I Pentri.

Ci sarà modo di fare poi un discorso complessivo riguardo alle guide e, in particolare, ai vini Falanghina andati a premio in Slow Wine 2023 (che si presenta a Milano l’8 ottobre prossimo, con degustazione dei vini premiati).

Posso, però, anticiparvi che Flora 2020 de I Pentri, storica azienda posta tra Castelvenere e Guardia Sanframondi, è la Falanghina che più mi è piaciuta durante questa tornata di assaggi.

L’occasione è ghiotta per parlarne ora, perché se è vero che già vi avevo detto del Monte Cigno, l’altra Falanghina de i Pentri, è di sicuro molto che non scrivo niente sulla Falanghina che porta il nome dell’antica dea italica della primavera. È anche vero, per inciso, che Flora 2002 me la ricordo ancora: ma quello è un altro discorso.

Com’è Flora 2020?

Flora è la Falanghina che Dionisio Meola e Lia Falato, oggi affiancati dal figlio Alessandro, ottengono dalla vinificazione dei grappoli della vigna più vecchia, dove la piena maturazione delle uve avviene generalmente nella seconda metà di ottobre. Si tratta di un fondo in località Rajete, su marne argillose e calcaree, che Dionisio ha ereditato dalla nonna materna, in ossequio a una lunga tradizione famigliare che vede, appunto, il passaggio della proprietà di nonna in nipote.

Sinuoso, già per come scorre nel calice, è un bianco che profuma di frutta gialla ed erbe amare, di macchia e finocchietto, con un sorso materico e carnoso. La cosa bella è che, nonostante un corpo mica da ridere, cui vanno aggiunti i 14 gradi e mezzo di alcol (che sono un po’ una costante da queste parti), la beva è tutto fuorché compassata: acidità e sapidità garantiscono, infatti, slancio e dinamismo. Super!

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I Pentri
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T +39 0824 940644
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Rubice 2020, la falanghina di Marco Tinessa

Rubice, Marco Tinessa

Rubice è l’unico bianco da uve falanghina prodotto, a partire dal 2019, dal 47enne di origini sannite Marco Tinessa.

C’è un primissimo motivo che mi spinge a parlarvi della Falanghina di Marco Tinessa, ed è che l’etichetta l’ha disegnata il celebre artista (e mio illustre concittadino) Mimmo Paladino. Mi piace tanto.

La mano – mi ha spiegato Marco – è lì a simboleggiare la fatica di chi coltiva la vite per farne vino, mentre i rami che spuntano dalle dita e le iniziali “appese” dei figli Ruggiero, Bianca, Celeste (Ru-Bi-Ce: questo bianco è intitolato a loro) sono la metafora dei frutti che provengono da questo impegno. I numeri sulle falangi rappresentano, infine, l’alchimia della fermentazione: è curioso ce ne siano alcuni più ricorrenti, mentre ne mancano altri (il 6 e l’8, ma proprio non saprei dirvi il perché).

Il focus resta, però, il vino in sé e il fatto che Rubice – quello che si direbbe un vin de négoce – è frutto di un’idea piuttosto “innovativa” per il Sannio: pigiadiraspatura e fermentazione sulle bucce per uno/due giorni in mastelli di vetroresina, fermentazione e affinamento in vetroresina e acciaio, infine aggiunta di 20 g/l di solforosa a fine malolattica.

Rubice 2020 e 2021

Ho di recente assaggiato sia il millesimo 2020, oggi in commercio, sia il 2021 appena andato in bottiglia: se il primo è vino “miracoloso” per le oggettive difficoltà logistiche legate alla sua genesi*, il secondo pare proprio essere un bel passo in avanti.

Sta forse nella scorrevolezza la cosa migliore del Rubice 2020, mentre le criticità sono, a mio avviso, una volatile parecchio accesa e una nota amara insistita, probabilmente riconducibile a una leggera sovraestrazione rispetto all’obiettivo di partenza, e cioè compensare il ridotto volume alcolico (11,5%) e dare maggiore spessore al sorso.

Presto per farsi un’idea esaustiva, ma il Rubice 2021 non ha di questi problemi, e qualcosa è cambiato pure per la provenienza delle uve (non solo Bonea e Montesarchio, ma anche un 15% di uve acquistate tra Castelvenere e Frasso Telesino). C’è sempre la volatile a introdurre il sorso, ma è meno scissa e più funzionale a esaltare un quadro aromatico di maggiore definizione. Mi piace di più questa, ma ne riparleremo poi.

* non c’era ancora l’attuale cantina di via Vitulanese a Montesarchio, s’è vinificato in un immobile temporaneamente adattato.