Parito’s, ecco la Falanghina della Vitivinicola Anna Bosco

Falanghina Parito's, Vitivinicola Anna Bosco

Tra i due bianchi prodotti dalla Vitivinicola Anna Bosco, il cui buon nome è per lo più legato alla barbera del Sannio (camaiola), c’è anche un’interessante Falanghina.

Ci sarà tempo poi di parlare ancora di barbera del Sannio (camaiola), unica uva a bacca rossa prodotta dall’azienda dei fratelli Mario e Filippo Venditti, che hanno raccolto il testimone del papà Salvatore. Vi avevo già raccontato sulle pagine di Slow Wine l’ottima Barbera Don Bosco 2017, ma il millesimo 2020 potrebbe sorprenderci ancora, almeno stando ai primissimi assaggi da vasca.

L’annata 2020 sembrerebbe non aver tradito le attese nemmeno per la falanghina, dopo un 2018 disastroso (ricorderete la violenta grandinata del 3 maggio che si abbatté su Castelvenere) e un 2019 di buona qualità, ma comunque assai diverso quanto ad andamento climatico. Basti pensare che ai tempi di raccolta delle uve di falanghina: nei primi giorni di settembre nella vendemmia 2019, agli inizi di ottobre nel 2020. «Le uve erano così belle che pensammo di lasciarle qualche altro giorno in pianta, per la verità fu anche per una questione di spazi in cantina», ricorda Pippo Venditti.

La sensazione è che la Falanghina 2020, non ancora in bottiglia, abbia maggiore struttura e pienezza gustativa rispetto a quella del millesimo precedente, che è invece più affusolata e citrina.

Resta immutata la provenienza delle uve, in parte dai filari intorno all’azienda – circa un ettaro e mezzo alle pendici del monte Parito (da cui il nome), su terreni argilloso-calcarei –, in parte da un vigneto di poco meno di un ettaro, nelle vicinanze del Grand Hotel Telese, dove ci sono anche trebbiano e malvasia di Candia, su suoli caratterizzati da una forte componente tufacea.

Vitinicola Anna Bosco
via San Tommaso, 34
82037 Castelvenere (BN)
T +39 0824 940483
M vitivinicolaannabosco@gmail.com

Monte Cigno, l’altra Falanghina de I Pentri

«Monte Cigno è la falanghina di tutte le nostre vigne, comprese quelle più giovani»: così Lia Falato e Dionisio Meola* mi hanno raccontato la loro “seconda” (ça va sans dire) etichetta di falanghina.

Ogni volta che vado a I Pentri, Lia è sempre indaffarata in qualcosa: «volevamo provare a fare la ricotta con il latte delle pecore che pascolano qui nelle nostre vigne. Almeno sappiamo cosa mangiano», così appena qualche settimana fa.

Ero passato per provare le ultime annate, e partirei proprio dalla Falanghina Monte Cigno, che prima c’era ma non aveva un nome e ora invece ce l’ha (Monte Cigno, nel territorio di Cusano Mutri, era l’altura trincerata dei Sanniti-Pentri).

Flora e Monte Cigno

Le uve per il Monte Cigno sono raccolte generalmente nella terza decade di settembre, a differenza di quelle destinate alla Falanghina Flora, che invece restano in pianta fino a ottobre inoltrato. La vinificazione segue però gli stessi ritmi, e anche l’imprinting gusto-olfattivo è simile: mi piacciono molto quelle sensazioni di tiglio ed erbe amare.

I 14 gradi di alcol non sono certo una novità, non da queste parti almeno (il comprensorio tra Castelvenere e Guardia Sanframondi, nel Sannio beneventano). Né si vuole intervenire per spogliare il vino di alcunché. Se però si beve che è un piacere, ed è questo il bello, lo si deve a freschezza e sapidità in quantità.

Bonus: l’ho bevuto con soddisfazione e senza alcuna difficoltà a 14 gradi, e pure con qualche grado in meno. Voi fate un po’ come vi pare: il risultato sarà bello uguale!

I Pentri
via Nazionale Sannitica, 72
82037 Castelvenere (BN)
T +39 0824 940644
M ipentri@gmail.com

* in questo post di Marco Stanzione trovate la storia del loro ritorno alla terra.

Falanghina del Sannio, a caccia del territorio

Se è vero che «il vino non è altro che una musica suonata da uno strumento e fatta da una partitura» e che «la partitura musicale è quello che vuole fare l’interprete e lo strumento sono il suolo e la vigna», «quello che accade qui nel Sannio è che a dominare non sia il territorio, ma le caratteristiche varietali dell’uva».

Parliamo di falanghina, ovviamente, e questo è, in sintesi, il pensiero del sommelier Filippo Busato, intervistato al termine del laboratorio sulla Falanghina del Sannio che ha condotto durante l’ultima edizione di Vinestate a Torrecuso (quindi nella sottozona Taburno). Secondo il docente della Fondazione Italiana Sommelier, il discorso sarebbe diverso per la Falanghina dei Campi Flegrei (non dimentichiamo però che stiamo comunque parlando di due biotipi differenti), denominazione in cui il territorio ha invece giocato un ruolo decisivo nella crescita degli ultimi anni.

Mappa della Falanghina del Sannio

Ci ho pensato e continuo a pensarci adesso: ma è proprio così? Voglio dire: davvero possiamo affermare che qui nel Sannio a dominare sia il varietale, con il territorio invece in secondo piano? A cosa servirebbero, in tal caso, le attuali sottozone della Falanghina del Sannio (che prima del lungimirante riordino delle denominazioni sannite rappresentavano altrettante Doc) se non ammettiamo che esistano (più o meno sensibili e conosciute) differenze tra i vini prodotti nelle diverse aree? Sarà forse che le recenti fortunate vicende commerciali hanno ridimensionato l’interesse a ricercare (prima) e raccontare (poi) le peculiarità di ogni singola zona, pur nell’ambito di un’unica denominazione (la cui riconoscibilità è comunque un valore irrinunciabile), contribuendo a definire l’immagine di un vino talvolta e in parte avulsa dai luoghi di provenienza? Perché è questo che sembrerebbe presupporre una simile considerazione.

Qualche spunto interessante, nella direzione opposta, è venuto fuori invece dal laboratorio di degustazione a cui ho partecipato durante l’ultima Festa del Vino di Castelvenere (bravo Pasquale Carlo che l’ha pensato, mettendo a frutto gli esiti parziali di una ricerca condotta dal prof. Antonio Leone nell’ambito del progetto Biowine: focus del genere andrebbero riproposti con sempre maggiore impegno). Seppur limitato ad un unico areale – quello di Castelvenere, per l’occasione messo “a confronto” (in senso buono, s’intende) con i Campi Flegrei – è parso evidente che, al di là delle differenti tecniche di vinificazione utilizzate per ciascuna delle 3 Falanghina del Sannio prescelte, vi sono caratteri peculiari del vino influenzati in misura variabile, ad esempio, dalla collocazione del vigneto (suolo, esposizione, altitudine…). Quella di Castelvenere, per dire, è una viticoltura essenzialmente di pianura, ma ci sono anche vigne poste ad altitudini sensibilmente maggiori e su terrazzi di ignimbrite campana (il prodotto della maggiore eruzione esplosiva avvenuta nell’area), e il profilo sensoriale dei vini che si ottengono sembra effettivamente diverso a seconda del luogo specifico da cui provengono le uve.

Ma questa è un’altra storia, ve ne parlerò poi.

[credits www.sanniodop.it]