Falanghina/Falanghine: una bella serata con Fisar Firenze

Falanghina o Falanghine?

Quattro vini da uve falanghina provenienti da quattro territori diversi: il bello (e il giallo) della Campania Felix.

Falanghina o Falanghine? Titolava così il webinar organizzato da Fisar Firenze e ben condotto da Martin Rance, con il quale condivido l’impegno per Slow Wine, oltre che, evidentemente, l’amore per la falanghina.

È stato un viaggio attraverso alcuni dei territori più noti per la falanghina, uva che sappiamo bene essere trasversalmente diffusa in tutta la Campania, ma che purtroppo ancora sconta un’immagine non proprio immacolata. C’è tempo per ricredersi, per fortuna, e lo ha dimostrato una volta di più la grande partecipazione alla serata, con oltre 60 sommelier che hanno apprezzato la qualità media delle etichette proposte al di là delle evidenti differenze territoriali (e stilistiche).

Sgombro subito il campo da qualsiasi accusa di sanniocentrismo: tra i 4 vini proposti c’era una Falanghina del Sannio, ma personalmente ho preferito… ora ve lo dico!

I vini

Maresa 2019 di Masseria Starnali è stata la sorpresa: un’interpretazione davvero molto personale della varietà, che è allevata nell’areale del vulcano spento di Roccamonfina, con una dinamica gusto-olfattiva davvero pregevole. Note fruttate (zeste di agrumi) e floreali (ginestra) a introdurre un ricamo balsamico di grande finezza. Cangiante nel bicchiere, intensa, si è fatta ricordare a lungo!

Meno convincente di altre uscite, a mio avviso, la Falanghina del Sannio Taburno 2019 di Torre Varano, che paga più che altro un quadro olfattivo un po’ banale e (forse) fin troppo piacione nei sentori tropicali ed erbacei. Peccato, perché la bocca funziona abbastanza bene, dimostrando oltretutto come dal comprensorio del Taburno arrivino vini mai in debito di freschezza anche in annate tendenzialmente calde, come appunto la 2019 dalle parti di Torrecuso, specie se rapportata al millesimo precedente (più performante, per la cronaca, almeno nel mio ricordo).

Cambio di registro con la Falanghina Indole 2018 di Florami, azienda vesuviana di cui so davvero poco, che è abbastanza timida al naso e si lascia senza dubbio preferire al palato. Sorso di buona struttura, ma nondimeno tonico, sapido e minerale; manca (forse) lo spunto finale, il guizzo che lo renderebbe bianco ancor più gradevole di quello che è.

Il vino della serata è stato la Falanghina dei Campi Flegrei 2017 di Contrada Salandra, che ha davvero tutto quel che occorre: c’è grande pienezza gustativa, un lato caldo e solare, ma anche una sapidità vibrante, vorrei dire martellante, e un sorso che sprigiona energia. Bello, bello!

Falanghina dei Campi Flegrei 2014, Contrada Salandra

Sarà che la prima “Chiocciola” non si scorda mai*, ma che emozione è stata aver avuto con noi Giuseppe Fortunato di Contrada Salandra per il laboratorio Dieci anni di Slow Wine: le “Chiocciole” si raccontano, organizzato al termine della presentazione di Osterie d’Italia e Slow Wine 2020 svoltasi venerdì scorso a Benevento.

Non parlo, o almeno non ancora, della Falanghina dei Campi Flegrei 2014 che Peppino e la moglie Sandra Castaldo, accompagnati dalla nipote Alessia hanno voluto regalarci (rivelatasi, per la cronaca, una bottiglia di commovente bontà). Mi riferisco, invece, alla forte valenza di quello che non è soltanto un simbolo. Lo stesso Luciano Pignataro, coordinatore della squadra Slow Wine Campania e Basilicata sino alla scorsa edizione, lo ha ricordato: la “Chiocciola” a Contrada Salandra era, ed è tuttora, un riconoscimento alla qualità dei vini prodotti, certo, ma anche all’impegno in un territorio martoriato da un’urbanizzazione selvaggia e ad una scelta di vita silenziosa e coraggiosa, “stare con la natura” e difenderla con tutte le proprie forze, giorno dopo giorno, finanche raccogliendo le cartacce gettate a terra dal maleducato (?) di turno.

Dicevo del “vino del cuore” che Peppino e la sua famiglia ci hanno regalato, una Falanghina dei Campi Flegrei tanto più straordinaria perché figlia di un millesimo – il 2014 – molto complicato, specialmente per via delle abbondanti piogge. A distanza di oltre 5 anni della vendemmia, però, il risultato è sorprendente e quello nel calice è un bianco in forma smagliante, profumato e saporito di agrumi, di miele e macchia mediterranea, dal sorso teso, ma comunque pieno, così grintoso e salino.

Semplicemente, una bellissima Falanghina dei Campi Flegrei.

* rispetto al 2011, quando erano in tutto 9, le aziende della Campania con la “Chiocciola” in Slow Wine 2020 sono ben 11. Soltanto 2, però, hanno mantenuto ininterrottamente il riconoscimento: Contrada Salandra (appunto) e Sangiovanni.

[photo credits fatamorgana972]

Falanghina express, n. 5/2019

dal 19 aprile al 5 maggio.

Su RFood in edicola domenica scorsa, Eugenio Signoroni parla delle Italian Grape Ale, ovvero di quello stile birrario tutto italiano che prevede “la presenza di uva utilizzata sotto forma di frutta fresca o secca, di mosto fiore, cotto, concentrato, usato come se fosse una spezia o come lo starter per la fermentazione“. Tra le IGA segnalate ce n’è anche una campana, ottenuta da mosto fiore di falanghina e biancolella, che viene abbattuto e poi aggiunto alla birra in fermentazione. Si tratta della Ligia del Birrificio Sorrento.

Luciano Pignataro ha apprezzato la Falanghina del Sannio Vendemmia Tardiva “Alenta” 2017, un vino pensato ormai 18 anni fa e che in questo millesimo si giova della ricchezza e della concentrazione del millesimo, ma con un ottimo corredo di acidità a supporto. Scherzavo proprio qualche giorno fa con Lorenzo Nifo, cugino dell’omonimo agronomo e titolare dell’azienda biologica di Ponte (BN), che Alenta -dal nome del torrente che scorre nelle vicinanze della cantina- è una falanghina per chi non si accontenta“. 😀

Campi Flegrei sugli scudi. La Falanghina dei Campi Flegrei Cruna deLago 2016 de La Sibilla è il vino della settimana su La Cucina Italiana; la Falanghina dei Campi Flegrei 2016 di Contrada Salandra è protagonista, invece, del post di Paolo De Cristofaro su Tipicamente.

Su Intravino una bella carrellata di vini da uve falanghina, dal Sannio ma anche dai Campi Flegrei, nella playlist di Antonio Tomacelli di ritorno da Campania Stories.