Falanghina del Sannio Alexia 2017, Fattoria Ciabrelli

Alexia è la Falanghina del Sannio di Fattoria Ciabrelli: a dispetto di un’annata decisamente complicata, la 2017 che ho stappato qualche sera fa è stata una bella bevuta.

Tonino Ciabrelli ha 4 figli e li ha accontentati tutti dedicando loro un vino ciascuno. All’unico maschio, che porta il nome del nonno paterno Raffaele, è toccato il rosso forse più rappresentativo della piccola azienda di CastelvenereRepha’el, appunto –, a base barbera che barbera non è, oggi finalmente camaiola.

Alexia è, invece, il nome dell’etichetta di Falanghina del Sannio che ho sempre apprezzato per almeno un paio di buoni motivi. Il primo è che si tratta di un bianco riconoscibilissimo: al netto delle diversità di annata (ci torno tra poco), è un vino semplice ed essenziale, senza fronzoli o effetti speciali, schietto e diretto. Rustico, nella migliore accezione del termine. L’altro motivo, tutt’altro che trascurabile, è che non superiamo i 10 euro di prezzo finale (vino quotidiano* in Slow Wine 2023), il che varrebbe a spiegare per benino quel concetto, spesso aleatorio, di rapporto tra la qualità e il prezzo.

Falanghina del Sannio Alexia 2017

L’idea di voler festeggiare l’11 novembre, pur senza una fetta della tradizionale pizza di San Martino, mi ha suggerito di stappare questa Falanghina del Sannio Alexia 2017, rivelatasi ricca e intensa, sia per colore – un bel giallo dorato – sia per sensazioni olfattive e gustative.

Il tappo, per la cronaca, era bagnato per 3/4, ma il vino era assolutamente integro: non una cosa scontata! A distanza di 5 anni dalla vendemmia, sa di mango e finocchietto, ha tirato fuori, in aggiunta ai profumi di fiori gialli, una bella nota balsamica, direi riconducibile alla salvia. Il sorso sapido compensa una certa densità al palato, figlia di quella che forse è stata la prima vera annata, tra le più recenti, in cui sono emersi i segnali inequivocabili del surriscaldamento globale. Manca un po’ di polpa al palato, che è un po’ magrolino sul centro bocca, ma siamo pur sempre al cospetto di un calice che fa il suo e gratifica.

Le aspettative non erano altissime, dico la verità, ma il risultato è stato più che soddisfacente.

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Fattoria Ciabrelli
via Italia, 3
82020 Castelvenere (BN)
T +39 0824 940565

* eccellente sotto il profilo organolettico, che non costa più di 12 euro in enoteca.

Flora 2020, che Falanghina quella de I Pentri!

Falanghina Flora, I Pentri

Se c’è una Falanghina a cui sono particolarmente affezionato, quella è certamente Flora de I Pentri.

Ci sarà modo di fare poi un discorso complessivo riguardo alle guide e, in particolare, ai vini Falanghina andati a premio in Slow Wine 2023 (che si presenta a Milano l’8 ottobre prossimo, con degustazione dei vini premiati).

Posso, però, anticiparvi che Flora 2020 de I Pentri, storica azienda posta tra Castelvenere e Guardia Sanframondi, è la Falanghina che più mi è piaciuta durante questa tornata di assaggi.

L’occasione è ghiotta per parlarne ora, perché se è vero che già vi avevo detto del Monte Cigno, l’altra Falanghina de i Pentri, è di sicuro molto che non scrivo niente sulla Falanghina che porta il nome dell’antica dea italica della primavera. È anche vero, per inciso, che Flora 2002 me la ricordo ancora: ma quello è un altro discorso.

Com’è Flora 2020?

Flora è la Falanghina che Dionisio Meola e Lia Falato, oggi affiancati dal figlio Alessandro, ottengono dalla vinificazione dei grappoli della vigna più vecchia, dove la piena maturazione delle uve avviene generalmente nella seconda metà di ottobre. Si tratta di un fondo in località Rajete, su marne argillose e calcaree, che Dionisio ha ereditato dalla nonna materna, in ossequio a una lunga tradizione famigliare che vede, appunto, il passaggio della proprietà di nonna in nipote.

Sinuoso, già per come scorre nel calice, è un bianco che profuma di frutta gialla ed erbe amare, di macchia e finocchietto, con un sorso materico e carnoso. La cosa bella è che, nonostante un corpo mica da ridere, cui vanno aggiunti i 14 gradi e mezzo di alcol (che sono un po’ una costante da queste parti), la beva è tutto fuorché compassata: acidità e sapidità garantiscono, infatti, slancio e dinamismo. Super!

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I Pentri
via Nazionale Sannitica, 72
82037 Castelvenere (BN)
T +39 0824 940644
M ipentri@gmail.com

Rubice 2020, la falanghina di Marco Tinessa

Rubice, Marco Tinessa

Rubice è l’unico bianco da uve falanghina prodotto, a partire dal 2019, dal 47enne di origini sannite Marco Tinessa.

C’è un primissimo motivo che mi spinge a parlarvi della Falanghina di Marco Tinessa, ed è che l’etichetta l’ha disegnata il celebre artista (e mio illustre concittadino) Mimmo Paladino. Mi piace tanto.

La mano – mi ha spiegato Marco – è lì a simboleggiare la fatica di chi coltiva la vite per farne vino, mentre i rami che spuntano dalle dita e le iniziali “appese” dei figli Ruggiero, Bianca, Celeste (Ru-Bi-Ce: questo bianco è intitolato a loro) sono la metafora dei frutti che provengono da questo impegno. I numeri sulle falangi rappresentano, infine, l’alchimia della fermentazione: è curioso ce ne siano alcuni più ricorrenti, mentre ne mancano altri (il 6 e l’8, ma proprio non saprei dirvi il perché).

Il focus resta, però, il vino in sé e il fatto che Rubice – quello che si direbbe un vin de négoce – è frutto di un’idea piuttosto “innovativa” per il Sannio: pigiadiraspatura e fermentazione sulle bucce per uno/due giorni in mastelli di vetroresina, fermentazione e affinamento in vetroresina e acciaio, infine aggiunta di 20 g/l di solforosa a fine malolattica.

Rubice 2020 e 2021

Ho di recente assaggiato sia il millesimo 2020, oggi in commercio, sia il 2021 appena andato in bottiglia: se il primo è vino “miracoloso” per le oggettive difficoltà logistiche legate alla sua genesi*, il secondo pare proprio essere un bel passo in avanti.

Sta forse nella scorrevolezza la cosa migliore del Rubice 2020, mentre le criticità sono, a mio avviso, una volatile parecchio accesa e una nota amara insistita, probabilmente riconducibile a una leggera sovraestrazione rispetto all’obiettivo di partenza, e cioè compensare il ridotto volume alcolico (11,5%) e dare maggiore spessore al sorso.

Presto per farsi un’idea esaustiva, ma il Rubice 2021 non ha di questi problemi, e qualcosa è cambiato pure per la provenienza delle uve (non solo Bonea e Montesarchio, ma anche un 15% di uve acquistate tra Castelvenere e Frasso Telesino). C’è sempre la volatile a introdurre il sorso, ma è meno scissa e più funzionale a esaltare un quadro aromatico di maggiore definizione. Mi piace di più questa, ma ne riparleremo poi.

* non c’era ancora l’attuale cantina di via Vitulanese a Montesarchio, s’è vinificato in un immobile temporaneamente adattato.