Kissòs Vintage Collection: la longevità della Falanghina del Sannio di Cantine Tora

Falanghina del Sannio Kissòs, Cantine Tora

Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare“, si dice. La Falanghina del Sannio invecchia, lo abbiamo sentito ripetere tante volte in questi anni, ma sono poche le aziende che hanno dimostrato coi fatti di crederci per davvero, investendo sulla longevità dei vini ottenuti da falanghina, uva regina del Sannio e tra quelle autoctone più note.

I fratelli Francesco e Giampiero Rillo hanno in un certo senso posto rimedio a questo cortocircuito, presentando una cassettina di 5 annate di Falanghina del Sannio Kissòs, disponibile per la vendita nel canale Horeca. Come a dire: la Falanghina sa affrontare il tempo, questa è la prova provata.

Pur avendo, in questi anni, testato diverse annate della Falanghina del Sannio Kissòs di Cantine Tora, non mi era mai capitato di ascoltare la storia di quest’etichetta dalla voce di uno dei suoi ideatori, Angelo Valentino, consulente dell’azienda sin dal 2007 e autore per l’occasione di una presentazione chiara ed esaustiva.

Punto di partenza – non ha mancato di sottolineare l’enologo irpino – è stato la profonda conoscenza della zona da parte della famiglia Rillo, che ha individuato i terreni di maggiore vocazione per la coltivazione della falanghina. Sono seguite scelte “controcorrente” sia in campo (un portannesto “lento” per controllare la vigoria della pianta e avere grappoli di peso inferiore e più spargoli, così da consentire minori trattamenti; raccolta solo a completa maturazione della buccia e del vinacciolo, secondo il principio “se è maturo il vinacciolo, lo è pure tutto il resto” ), sia in cantina (lunghe fermentazioni a temperature via via più alte e tali da mandare in stress i lieviti, stimolando la produzione di glicerolo).

Non la mia preferita, ma nella batteria la Falanghina del Sannio Kissòs 2012 gioca una partita a sé: è matura, ricca, materica, ha naso di lavanda e spezie dolci. Tra le altre spicca, in proiezione, la Falanghina del Sannio Kissòs 2018, che ha eleganza, slancio e profondità. Se la Falanghina del Sannio Kissòs 2017 è un gran bere oggi – più carica già al colore, opulenta, ma ben sorretta dall’acidità –, per la Falanghina del Sannio Kissòs 2016 il registro cambia decisamente, con profili gusto-olfattivi più marcatamente speziati. La Falanghina del Sannio Kissòs 2015 (unica da magnum) ha interessante vocazione gastronomica per via di una spiccata sapidità, ma risulta penalizzata da un lieve sbuffo alcolico.

Falanghina del Sannio Taburno 2020, Cantine Tora

Falanghina del Sannio Taburno 2020, Cantine Tora

La Falanghina del Sannio per così dire “base” di Cantine Tora è etichetta con un ottimo rapporto tra la qualità e il prezzo.

Da queste parti s’è già parlato di Kissòs, la vendemmia tardiva di falanghina che avevo assaggiato in verticale nei primi mesi del 2021. Ma non possiamo dimenticare le altre due ambiziose interpretazioni dell’uva a bacca bianca regina del Sannio, ovvero Cent’Ore e Cambioluna (quest’ultima fermenta e affina in barrique). Avrò presto modo di degustarle ancora, visto che tornerò in contrada Tora a Torrecuso per approfondire le novità sul fronte rossista che i fratelli Giampiero e Francesco Rillo mi hanno vagamente anticipato.

È però della Falanghina del Sannio Taburno 2020, vero e proprio pilastro della “linea autoctoni” di Cantine Tora, che voglio parlarvi. A distanza di qualche mese dai primissimi, pur confortanti, assaggi, l’ho ritrovata sulla tavola più in forma che mai. Non c’è da stupirsi, beninteso, ché un sensibile allungo del periodo di affinamento in vetro non può che fargli bene!

Gialla è gialla, a testimonianza di come l’annata piuttosto calda abbia accentuato il profilo solare del vino. C’è poi una bella vena balsamico-erbacea ad arricchire il sorso pieno, ricco, però mai in debito di spinta acido-sapida.

I 10/12 europei che occorrono in media per l’acquisto sono solo un altro buon motivo per metterne in cantina qualche bottiglia e stapparle tra un po’ di tempo “per vedere l’effetto che fa” (cit).

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Kissòs, la Falanghina del Sannio di Cantine Tora

Falanghina del Sannio Kissòs, Cantine Tora

Kissòs è un’idea ambiziosa di Falanghina del Sannio, la firma è di Cantine Tora.

Il 2020 è stato davvero un anno complicatissimo per tutti, ma i fratelli Francesco e Giampiero Rillo non hanno mollato di un centimetro: il restyling del logo, la linea “autoctoni” (che oggi può contare anche su un bianco da uve coda di volpe davvero centrato), infine l’e-commerce. Non c’è che dire: bravi, bravi!

La falanghina resta, ovviamente, protagonista a Cantine Tora. E prova ne è il fatto che sono molteplici le interpretazioni proposte, tra cui ricordo il passito 2014 (che a pensarci bene non ho più incrociato, sapete?). La Falanghina del Sannio Kissòs è un po’ il simbolo dell’affezione dei due fratelli nei confronti della varietà regina del Sannio. L’edera – Kissòs in greco – era uno dei simboli di Dioniso, di qui l’idea del nome per una sfida che va avanti dal 2007, una selezione che viene di fatto prodotta soltanto nelle annate favorevoli.

Cambiano i vigneti di falanghina, che sono quelli più prossimi alla cantina di contrada Tora, alle porte di Torrecuso, risalenti alla fine degli anni Novanta e allevati a guyot. Cambia qualcosa anche in vinificazione, con una criomacerazione di 12/18 ore e fermentazione a bassa temperatura, poi un periodo di affinamento sui lieviti prima della lunga permanenza in vetro (2 anni). Cambia, soprattutto, l’epoca di raccolta delle uve: «il 4 ottobre, giorno del mio onomastico, mi hanno sempre fatto alzare cassette», scherza Francesco, vale a dire che la raccolta delle uve è generalmente posticipata di 7/10 giorni rispetto a quella dei grappoli per gli altri vini di falanghina.

La verticale

L’estemporanea verticale organizzata durante la mia ultima visita in azienda è stata una fantastica occasione per viaggiare all’indietro nel tempo e capire da dove hanno iniziato e dove stanno andando adesso Francesco e Giampiero. C’è un fattore determinante nell’evoluzione di un vino come il Kissòs, di cui peraltro si parla sempre troppo poco, e quello è il tappo. Basta guardare il colore dei calici per rilevare come il sughero abbia inciso eccome – in negativo, purtroppo – nelle prime due bottiglie: Kissòs 2008 (ve ne avevo già parlato qualche tempo fa) e 2011 presentano infatti simili profili ossidativi, forse pure maggiori in quest’ultima bottiglia.

Tappo sintetico, invece, per le annate più recenti, entrambe con una marcia in più. E se la 2015 è già un bel bere ora, con un sorso pieno comunque ben supportato da viva freschezza e sapidità, la 2016 – che ha un incipit quasi orientaleggiante – pare addirittura avere maggiori prospettive di evoluzione, grazie a sale e acidità davvero notevoli. Un vino che terrò d’occhio con molta curiosità nei prossimi anni.

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