La Falanghina del Sannio di Fontanavecchia alla prova del tempo

Anche il più “semplice” dei vini da uve falanghina prodotti da Fontanavecchia riserva sorprese col passare del tempo.

Potrete ben immaginare – credo – che chi vi scrive non ha alcun dubbio sulle potenzialità di invecchiamento dei vini di falanghina, e mica soltanto quelli del “mio” Sannio.

Gli stessi produttori ci credono fermamente, e la pattuglia delle etichette “pensate” per reggere con maggiore disinvoltura lo scorrere del tempo si fa, vivaddio, sempre più folta. Prendiamo, ad esempio, i due bianchi più “ambiziosi” – il Facetus e il Libero* – confezionati da Libero Rillo (oggi saldamente al timone dell’azienda fondata dal papà Orazio ormai 40 anni fa), per i quali le “aspettative di vita” saranno ragionevolmente superiori di quelle per i vini più “semplici”.

Ecco perché riscontrare l’ottimo stato di salute della Falanghina del Sannio Taburno 2014, trascorsi ben 5 anni dalla vendemmia, rappresenta un’ulteriore conferma della grandeur di quest’uva, versatile come poche e capace di restituire vini con buona propensione all’invecchiamento.

Falanghina del Sannio Taburno 2014, Fontanavecchia

Sia chiaro, quello nel calice non è un mostro di complessità – ma chi lo desidererebbe, poi –, pur potendosi distinguere sensazioni olfattive di discreta finezza (ginestra, melone, pesche sciroppate). Tuttavia, nessun segno di cedimento per un bianco che è assolutamente integro, già nel colore, sicuramente più dorato che non paglierino.

Le cose funzionano benone soprattutto al palato, dove ritroviamo un sorso ricco, sì, ma che ha comunque grinta e tensione acido-sapida. E buone probabilità di continuare a stupire nei prossimi anni.

Saprò dirvi poi. 😉

* l’ideale prosecuzione del percorso iniziato con la straordinaria Falanghina 2001.

Terra di Briganti, buona la Falanghina del Sannio 2018

Tra le interpretazioni più convincenti di un millesimo affatto semplice, qual è stato appunto il 2018 nel Sannio, annoterei sicuramente la Falanghina del Sannio di Terra di Briganti.

Una bella prova, quella dei fratelli Romeo e Toni De Cicco da Casalduni, che hanno tra l’altro piazzato anche un delizioso rosso da uve sciascinoso e si sono guadagnati la menzione in Slow Wine 2020 (l’altro nuovo ingresso per il Sannio, ve ne ho già parlato, è stato quello di Giovanni Iannucci).

Falanghina del Sannio 2018, Terra di Briganti

Ma torniamo alla Falanghina del Sannio 2018 dell’azienda di Casalduni, che si presentava con una nuova veste grafica ed il bollino della certificazione Demeter, a rimarcare la scelta di abbracciare la biodinamica che è stata innanzitutto un’esigenza («noi qui ci viviamo, eh!», così Toni durante la mia visita in cantina).

Like convinto, innanzitutto, per un profilo olfattivo meno esplosivo di quanto non si riscontri spesso e (mal)volentieri, tutt’altro che appiattito sulle note di banana*. C’è dell’altro, insomma: pera, fiori bianchi, salvia, foglia di limone. Il sorso, poi, è bello tonico, rinfrancato da una spiccata verve acida e perciò decisamente scorrevole.

* ricorderete le recenti considerazioni di Ian D’Agata a proposito di molti vini da falanghina, sempre più vittime dell’indiscriminato uso dei lieviti industriali.

Ciesco della Mirella, storia di un’inaspettata riapparizione

Ritrovo questa Falanghina del SannioCiesco della Mirella è il suo nome – diversi anni dopo una folgorante apparizione. Tutto merito di Pasquale Carlo, che in occasione di un pranzo beneventano aveva tirato fuori dal cilindro un Ciesco della Mirella targato 2005 in forma smagliante.

Ora non so dirvi come sia potuto accadere, tanto più che quel bianco piacque molto, sia a Luciano Pignataro che a me. Fatto è che questa boccia, firmata da Santimartini, una piccola azienda di Solopaca, è praticamente uscita dai miei radar per riapparire, in maniera del tutto inaspettata, soltanto un paio di settimane fa a casa di amici (e non l’avevo nemmeno portata io, eh!).

Falanghina del Sannio Dop "Ciesco della Mirella" 2017, Santimartini

Il piacere del nuovo incontro non ha condizionato quello effettivamente imputabile alla bevuta del presente: un bianco dai toni gialli (e mica solo all’occhio), che fa 14 gradi alcolici, ma con una buona freschezza di fondo e direi anche lo stesso elegante portamento di quella volta.

Mi mancano i cioccolatini ripieni con lo stesso vino che leggo essere commercializzati già dal 2010. Vabbè, intanto li provo, poi vi dico! 😉