Kissòs è un’idea ambiziosa di Falanghina del Sannio, la firma è di Cantine Tora.
Il 2020 è stato davvero un anno complicatissimo per tutti, ma i fratelli Francesco e Giampiero Rillo non hanno mollato di un centimetro: il restyling del logo, la linea “autoctoni” (che oggi può contare anche su un bianco da uve coda di volpe davvero centrato), infine l’e-commerce. Non c’è che dire: bravi, bravi!
La falanghina resta, ovviamente, protagonista a Cantine Tora. E prova ne è il fatto che sono molteplici le interpretazioni proposte, tra cui ricordo il passito 2014 (che a pensarci bene non ho più incrociato, sapete?). La Falanghina del Sannio Kissòs è un po’ il simbolo dell’affezione dei due fratelli nei confronti della varietà regina del Sannio. L’edera – Kissòs in greco – era uno dei simboli di Dioniso, di qui l’idea del nome per una sfida che va avanti dal 2007, una selezione che viene di fatto prodotta soltanto nelle annate favorevoli.
Cambiano i vigneti di falanghina, che sono quelli più prossimi alla cantina di contrada Tora, alle porte di Torrecuso, risalenti alla fine degli anni Novanta e allevati a guyot. Cambia qualcosa anche in vinificazione, con una criomacerazione di 12/18 ore e fermentazione a bassa temperatura, poi un periodo di affinamento sui lieviti prima della lunga permanenza in vetro (2 anni). Cambia, soprattutto, l’epoca di raccolta delle uve: «il 4 ottobre, giorno del mio onomastico, mi hanno sempre fatto alzare cassette», scherza Francesco, vale a dire che la raccolta delle uve è generalmente posticipata di 7/10 giorni rispetto a quella dei grappoli per gli altri vini di falanghina.
La verticale
L’estemporanea verticale organizzata durante la mia ultima visita in azienda è stata una fantastica occasione per viaggiare all’indietro nel tempo e capire da dove hanno iniziato e dove stanno andando adesso Francesco e Giampiero. C’è un fattore determinante nell’evoluzione di un vino come il Kissòs, di cui peraltro si parla sempre troppo poco, e quello è il tappo. Basta guardare il colore dei calici per rilevare come il sughero abbia inciso eccome – in negativo, purtroppo – nelle prime due bottiglie: Kissòs 2008 (ve ne avevo già parlato qualche tempo fa) e 2011 presentano infatti simili profili ossidativi, forse pure maggiori in quest’ultima bottiglia.
Tappo sintetico, invece, per le annate più recenti, entrambe con una marcia in più. E se la 2015 è già un bel bere ora, con un sorso pieno comunque ben supportato da viva freschezza e sapidità, la 2016 – che ha un incipit quasi orientaleggiante – pare addirittura avere maggiori prospettive di evoluzione, grazie a sale e acidità davvero notevoli. Un vino che terrò d’occhio con molta curiosità nei prossimi anni.
Cantine Tora
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