La splendida Falanghina dei Campi Flegrei 2006 di Agnanum.

Falanghina dei Campi Flegrei 2006, Agnanum

Vi ho già detto degli assaggi di Falanghina (e non solo) a La Sibilla e vi racconterò presto della mattinata trascorsa in compagnia di Raffaele Moccia, che mi ha scorrazzato in giro per i terrazzamenti della collina di Agnano. Una roba da togliere il fiato, credetemi!

Se n’è approfittato, ovviamente, per stappare qualcosina anche ad Agnanum, dove non mancano interpretazioni degne di nota della falanghina. A cominciare dal Sabbia Vulcanica, l’etichetta più “semplice”, almeno sulla carta, ma che trovo sempre più buona, con un prezzo davvero piccolo piccolo.

È questo, però, l’assaggio di cui conserverò più a lungo il ricordo, una Falanghina dei Campi Flegrei 2006 che mi ha fatto letteralmente sorridere sia per la qualità del vino in sé, sia per la curiosa storia che c’è dietro.

Ve la faccio breve, l’etichetta in foto non corrisponde affatto al contenuto della bottiglia, perché il vino è la Falanghina per così dire “base”, e non la Vigna del Pino (che fa un breve passaggio in legno). Il motivo è semplice e ha a che fare con una piccola dimenticanza di Lello Moccia: «pensavo di poter ricordare tutto all’inizio, compreso dove mettevo le bottiglie che conservavo. Ben presto mi sono accorto che non era così». Un contrattempo che costò un’intera giornata di stappo e assaggio bottiglie in compagnia dell’enologo di allora, Maurizio De Simone.

Curiosità a parte, questa 2006 è una Falanghina splendida. Il sottile velo ossidativo non toglie nulla in termini di complessità al vino, anzi. Detto che non era comunque stato ideato per durare così a lungo, siamo davanti a un calice dorato in ottimo stato di forma, appena magrolino forse sul centro bocca, ma stupefacente per finezza, definizione e complessiva integrità. Le note di frutta matura e di arancia amara si accompagnano a sensazioni balsamiche e resinose, anche leggermente affumicate, di liquirizia, terra, anice, rosmarino.

Un piccolo grande vino.

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