La Falanghina del Sannio per così dire “base” di Cantine Tora è etichetta con un ottimo rapporto tra la qualità e il prezzo.
Da queste parti s’è già parlato di Kissòs, la vendemmia tardiva di falanghina che avevo assaggiato in verticale nei primi mesi del 2021. Ma non possiamo dimenticare le altre due ambiziose interpretazioni dell’uva a bacca bianca regina del Sannio, ovvero Cent’Ore e Cambioluna (quest’ultima fermenta e affina in barrique). Avrò presto modo di degustarle ancora, visto che tornerò in contrada Tora a Torrecuso per approfondire le novità sul fronte rossista che i fratelli Giampiero e Francesco Rillo mi hanno vagamente anticipato.
È però della Falanghina del Sannio Taburno 2020, vero e proprio pilastro della “linea autoctoni” di Cantine Tora, che voglio parlarvi. A distanza di qualche mese dai primissimi, pur confortanti, assaggi, l’ho ritrovata sulla tavola più in forma che mai. Non c’è da stupirsi, beninteso, ché un sensibile allungo del periodo di affinamento in vetro non può che fargli bene!
Gialla è gialla, a testimonianza di come l’annata piuttosto calda abbia accentuato il profilo solare del vino. C’è poi una bella vena balsamico-erbacea ad arricchire il sorso pieno, ricco, però mai in debito di spinta acido-sapida.
I 10/12 europei che occorrono in media per l’acquisto sono solo un altro buon motivo per metterne in cantina qualche bottiglia e stapparle tra un po’ di tempo “per vedere l’effetto che fa” (cit).
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