Sannio (e falanghina), gioiello nascosto della Campania

Falanghina del Sannio,Tom Hyland

I vini del Sannio, a partire dalla Falanghina del Sannio, sono il gioiello nascosto della Campania. Parola di Tom Hyland.

Aggiungerei che è così anche se guardiamo a tutto il resto! Il Sannio beneventano è un posto bellissimo, ma le persone non lo sanno (ancora). Devi essere davvero un grande appassionato per spingerti fin qui, e mica soltanto per il vino, avere voglia di allontanarti dalle rotte turistiche più mainstream. Solo che vai a Pompei, in Costa d’Amalfi, poi a Ischia, Capri, Procida, in penisola sorrentina e Napoli… ma la vacanza, nel frattempo, è finita!

Nell’articolo pubblicato su Forbes, Hyland premette che i vini della Campania si stanno ritagliando sempre maggiore spazio, forti di una crescente reputazione. I produttori sanniti, da par loro, si stanno dando un gran daffare. La Falanghina del Sannio traina un po’ tutto il comparto: non fosse altro che il 90% delle oltre 100 aziende vinicole della provincia produce vini da falanghina, una delle varietà autoctone più conosciute e uva regina del Sannio.

Tom Hyland afferma che la Falanghina del Sannio «is surely one of the most delightful dry white wines produced anywhere in the world». Il suo tratto distintivo è la vivace acidità, che se da un lato è funzionale ad equilibrare il vino e a consentirgli di invecchiare agevolmente, dall’altro garantisce una certa versatilità in fatto di abbinamenti col cibo. Tutto questo, poi, a prezzi di acquisto decisamente abbordabili.

Se non volete credermi, almeno credete a Tom Hyland: «if you’re not familiar with the wines of Sannio, do yourself a favor and give these wines a try». Capito?!? 😉

[La foto è di Tom Hyland]

Falanghina/Falanghine: una bella serata con Fisar Firenze

Falanghina o Falanghine?

Quattro vini da uve falanghina provenienti da quattro territori diversi: il bello (e il giallo) della Campania Felix.

Falanghina o Falanghine? Titolava così il webinar organizzato da Fisar Firenze e ben condotto da Martin Rance, con il quale condivido l’impegno per Slow Wine, oltre che, evidentemente, l’amore per la falanghina.

È stato un viaggio attraverso alcuni dei territori più noti per la falanghina, uva che sappiamo bene essere trasversalmente diffusa in tutta la Campania, ma che purtroppo ancora sconta un’immagine non proprio immacolata. C’è tempo per ricredersi, per fortuna, e lo ha dimostrato una volta di più la grande partecipazione alla serata, con oltre 60 sommelier che hanno apprezzato la qualità media delle etichette proposte al di là delle evidenti differenze territoriali (e stilistiche).

Sgombro subito il campo da qualsiasi accusa di sanniocentrismo: tra i 4 vini proposti c’era una Falanghina del Sannio, ma personalmente ho preferito… ora ve lo dico!

I vini

Maresa 2019 di Masseria Starnali è stata la sorpresa: un’interpretazione davvero molto personale della varietà, che è allevata nell’areale del vulcano spento di Roccamonfina, con una dinamica gusto-olfattiva davvero pregevole. Note fruttate (zeste di agrumi) e floreali (ginestra) a introdurre un ricamo balsamico di grande finezza. Cangiante nel bicchiere, intensa, si è fatta ricordare a lungo!

Meno convincente di altre uscite, a mio avviso, la Falanghina del Sannio Taburno 2019 di Torre Varano, che paga più che altro un quadro olfattivo un po’ banale e (forse) fin troppo piacione nei sentori tropicali ed erbacei. Peccato, perché la bocca funziona abbastanza bene, dimostrando oltretutto come dal comprensorio del Taburno arrivino vini mai in debito di freschezza anche in annate tendenzialmente calde, come appunto la 2019 dalle parti di Torrecuso, specie se rapportata al millesimo precedente (più performante, per la cronaca, almeno nel mio ricordo).

Cambio di registro con la Falanghina Indole 2018 di Florami, azienda vesuviana di cui so davvero poco, che è abbastanza timida al naso e si lascia senza dubbio preferire al palato. Sorso di buona struttura, ma nondimeno tonico, sapido e minerale; manca (forse) lo spunto finale, il guizzo che lo renderebbe bianco ancor più gradevole di quello che è.

Il vino della serata è stato la Falanghina dei Campi Flegrei 2017 di Contrada Salandra, che ha davvero tutto quel che occorre: c’è grande pienezza gustativa, un lato caldo e solare, ma anche una sapidità vibrante, vorrei dire martellante, e un sorso che sprigiona energia. Bello, bello!

Falanghina. What else?

Falanghina, cos’altro potrei rispondere io alla domanda What’s an Italian white wine you think more people ought to be drinking?

Ho letto tutti i commenti a questo post di Winefolly su Twitter e, al di là di alcuni suggerimenti curiosi e nemmeno così scontati, la notizia è che molti abbiano detto, appunto, falanghina.

La cosa, che pure potrebbe sorprendere qualcuno, la dice lunga in realtà sulla crescente notorietà della falanghina, l’uva a bacca bianca più diffusa della Campania, anche all’estero, e non solo in quei Paesi dove questa varietà è persino allevata (al pari di tanti altri vitigni italioti).

Bene, dai.