No al triste “Prosecchino”, sì allo spumante di falanghina

Pensavo, rileggendo uno dei commenti al post di Intravino sui locali “deprosecchizzati”, che la scelta di non vendere Prosecco sarebbe, al contrario e per certi versi, auspicabile in provincia, dove i soliti tristi “prosecchini” ben potrebbero fare spazio alle bollicine locali, meglio ancora se da uve autoctone.

Pensiamo al nostro Sannio: ce ne fossero di posticini che propongono bollicine da uve falanghina e non i soliti desolanti, tristi Prosecco (voglio dire, se ne avete in carta di buoni mi sta pure bene, eh!). Direte che non c’è da meravigliarsi: dopotutto il Prosecco dilaga ormai dovunque. Perché non dovrebbe essere così da noi, dove tra l’altro è appena partito il progetto Biowine, che ha l’obiettivo di mutuare le buone (?) pratiche agricole dell’area di Conegliano Valdobbiadene, al fine di giungere ad un regolamento di polizia rurale per tutelare ambiente e paesaggio.

Il fatto è che quelli che si trovano in città non sono mica i Prosecco (perdonate se, per comodità, glisso sulle specifiche dei territori più importanti di produzione: Asolo e Conegliano-Valdobbiadene) di Frozza, Mongarda, Nicos, Silvano Follador, Ca’ del Zago, Bele Casel, giusto per citare alcune delle aziende riconosciute come eccellenze. Anzi, si tratta spesso e volentieri di vini tutt’altro che indimenticabili.

Pupitre a Vigne di Malies

Cioè, siamo sempre qui a riempirci la bocca con quella bella parolina (“territorio”), ormai quasi del tutto svuotata del suo reale significato, ci affanniamo a dire che la falanghina è un’uva versatile e adatta anche alla spumantizzazione, e poi che facciamo? Ci sediamo al bar per ammirare la Chiesa di Santa Sofia o l’Arco di Traiano e sorseggiamo i soliti anonimi “prosecchini”, nell’accezione più generale e (purtroppo) diffusa di “qualunque vino con (più o meno copiose) bollicine”. Ma non sarebbe meglio un calice di spumante di falanghina? Capisco che in passato grossi carichi di uve sannite partivano alla volta del Veneto per poi fare ritorno belli, tutti uguali ed effervescenti, ma oggi ci sono aziende che hanno investito e stanno investendo per spumantizzare in proprio e con buoni risultati.

Non mancano, insomma, vini spumanti da falanghinadegni di attenzione, tanto più che, particolare non da poco, hanno molto spesso un prezzo conveniente. Penso, per esempio, allo spumante brut di Corte Normanna, piacevole, cremoso ed equilibrato, pure discretamente complesso per il fatto di essere realizzato con uno “charmat lungo”, in cui la maturazione sui lieviti arriva fino a 11 mesi. Oppure al Levato, forma dialettale per “criscito”, lievito madre, il rifermentato di Flaviano Foschini a Vigne di Malies, sempre a Guardia Sanframondi: 600 bottiglie in cui la seconda fermentazione in bottiglia è innescata da mosto di falanghina dell’annata 2018, che segnano un ritorno alla tradizione rurale del vino per autoconsumo. Un vino semplice ma efficace, godibile e agrumato.

Per la cronaca, non mancano nemmeno spumanti di falanghina da metodo classico. Cito, per esempio, l’Auspicium, sempre di Vigne di Malies: il millesimato 2015 si è fatto 24 mesi sui lieviti, non è dosato, è fragrante e setoso, magari appena appena magrolino al sorso.

Ce ne sono di modi per bere altro che non i soliti “prosecchini”, non vi pare!?

Falanghina express, n. 3/2019

Dal 25 febbraio al 17 marzo.

Pare che il 2018 sia stato un anno positivo per la falanghina: le vendite di vini a denominazione sono infatti cresciute, in volume e a valore. Lo dice una ricerca di IRI che sarà presentata durante il prossimo Vinitaly (dal 7 al 10 aprile prossimi).

Sul Gambero Rosso (in inglese), il vino del mese è la Falanghina del Sannio 2017 di Fontanavecchia. L’etichetta per così dire “base” dell’azienda di Libero Rillo, a Torrecuso, conferma la sua affidabilità, anche in un millesimo piuttosto complicato.

Luciano Pignataro racconta la Falanghina del Sannio “Senete” 2016 de La Guardiense, offerta durante il pranzo con cui la più importante cooperativa sannita ha festeggiato la Laurea ad honorem concessa dall’Università degli Studi del Sannio all’enologo consulente Riccardo Cotarella.

Tra i vini naturali provati a Live Wine che sono piaciuti a Silvia Fratini (Agrodolce), c’è anche la Falanghina “Iastemma” di Canlibero. Ammetto che le mie (limitate) esperienze con i bianchi di Ennio Romano e Mena Iannella sono state, almeno sin qui, meno positive di quelle vissute invece con i rossi. I beninformati, però, mi dicono di buone nuove anche per i bianchi e, in particolare, per questa falanghina in purezza, che è prodotta nell’areale del Taburno (pur non rivendicandone la denominazione) e fa macerazione di 6 mesi in acciaio.

Vino al supermercato nel 2018, la crescita della falanghina

Il 2018 è stato un anno positivo per i vini a denominazione da uve falanghina. È quanto emerge dalle anticipazioni della ricerca IRI in esclusiva per Vinitaly, che prende a riferimento le vendite di vino al supermercato nell’anno 2018 (oltre 619 milioni di litri di vino italiano per un valore di 1 miliardo e 902 milioni di euro).

Classifica delle denominazioni per crescita a volume e a valore

Nella speciale classifica dei vini “emergenti”, cioè quelli a maggior tasso di crescita, compare anche la falanghina, con un 2% di aumento in volume. Un risultato lusinghiero, pur se non paragonabile all’exploit del Lugana, cui corrisponde un incremento del 2,1% a valore.

L’aumento dei prezzi del vino nella grande distribuzione, ha precisato IRI, non è stato soltanto una diretta conseguenza della scarsa vendemmia del 2017. Sono state decisive, infatti, le politiche produttive e commerciali dei vari attori della filiera: un grande lavoro sulla qualità e sui disciplinari delle denominazioni d’origine, con riduzione delle promozioni e definizione di prezzi più appropriati.

Questa è la strada. Aumentare il valore e migliorare la reputazione collettiva del brand, ne parlavamo proprio qualche settimana fa.